1869
e 1870
FOLLONICA
“LA POLIGRAFICA”
1923
10964. 17
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Cari
fratelli del popolo latino!
L'ardente nostro
desiderio sarebbe stato quello di avervi potuto presentare la completa e
meravigliosa opera della missione del nostro Duce e Maestro, o almeno uno dei
suoi maggiori libri che fra i quali è quello col titolo I Fiori Celesti,
che l'anno 1876 fu stampato in lingua Francese, (e che per una manovra
gesuitica poté circolare poche copie,) ma non potendo giungere a ciò che noi
desideriamo vi consigliamo a rivolgere il vostro studio su il gran libro aperto
del Creatore dell'universo, dal quale potranno comprendere tutte le gradazioni
dell'umano intelletto dove è posata, l'opera importante del nostro Duce, ed
avere nello stesso tempo un'ombra più perfetta sul Motore dell'infinite
sfere, giacché anche l'umana scienza è arrivata a conoscere che quei punti
luminosi che l'occhio umano scorge più o meno visibili sulla volta celeste sono
altrettanti globi di grandezze minori e maggiori del nostro che abitiamo.
Le nostre forze si
limitano soltanto a dare luce a piccole porzioni, tanto per disimpegnare
l'obbligo della nostra missione di fronte al nostro Duce e Maestro, ed a quello
del popolo eletto delle nazioni latine.
Dalla scelta fatta
fra gli scritti di esso, crediamo opportuno in quest'ora di confusionismo fra
le umane tendenze, di presentarvi questo piccolo libretto il quale vi preghiamo
di studiare attentamente essendo sicuri che dal medesimo vi sortirà fuori un
raggio di viva luce sulla missione del nostro Duce, e vi farà vedere la radice
del male per cui è appestata tutta l'umana famiglia.
Vi avvertiamo pure che se desiderate maggiori chiarimenti di ciò che abbiamo potuto fare fin qui su tale soggetto, rivolgetevi in Arcidosso presso Giuseppe Corsini e com. che troverete il deposito dei qui sotto indicati stampati:
1°. Avviso di pace e giustizia a tutti i fratelli in Dio e Cristo dai Lazzerettisti Giurisdavidici. Anno 1903.
2°. Storia di
David Lazzaretti, composta dal sacerdote Giurisdavidico, don Filippo
Imperiuzzi. Anno 1905.
3°. Simbolo dello Spirito Santo, ovvero articoli di fede dei Giurisdavidici. Anno 1918.
4°. David Lazzaretti e i suoi seguaci. Anno 1920.
5°. Ultimi scritti di David Lazzaretti. I 29 editti. Anno 1921.
Desiderosi che dai detti dei nostri stampati si possano dissipare le tenebre che oscurano la mente dell'umana famiglia, sulla missione del messo di Dio.
Vi auguriamo ogni
bene,
I GIURISDAVIDICI.
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ossia
LA CIVILTÀ CRISTIANA
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Alzati uom dal fango in cui ti sei
Gettato. Deh! per pietà ti volgi,
E contempla in te stesso il gran compendio
Dell'immensa opera di Dio. Dimmi
Se tu non sei della di Lui sapienza
Un'intima scintilla? E che in te stesso
È la forma di Lui, negar non puoi
Senza dir la più orribile menzogna.
Di non sentire in te per segni arcani
Un'alma, e nobiltà di tua natura,
Sì, sì civile sei, nobile e grande
Se sei cristiano per il tuo istituto,
Perché fai parte a quel legame santo
Della chiesa di Cristo, e in te si asperse
L'acqua che lava dalla colpa, e insieme
Quel sal che porta, ogni sapienza all’uomo.
Deh! per pietà, uom, rifletti e pensa
Che tal' doti son io te, e vai superbo
Deh rendi, rendi a Dio un attributo
Che per dovere il devi, e dal tuo labbro
Sciogli la lingua, con sermoni ed inni
E glorifica il ciel di un tal retaggio.
Esulta, esulta uom, che immense doti
Iddio ti diede, e ti fé si grande
Sicché su te si racchiude il bello,
Il santo, dico, il nobile il civile,
Che t'ha innalzato a livellar con Lui.
Di tua felicità gli accedi in gloria
Perché tu sei mortal. Ma dir si puote.
Grande sei tal che di divino ascendi
E divino ritorni alla sua gloria,
A bearti in Lui per un eterno
E perché dunque usi divin linguaggio
Bei tu l'immenso ben che teco
Donato ha un Dio d'infinito amore,
D'infinita bontà tutta infinita,
Perché o uom, perché allor ti getti
Sconsigliato in sen del crudo averno?
Perché darti in balia del tuo nemico?
Perché donarti schiavo al tuo tiranno?
E addivenir dell'ira sua il bersaglio
E renderti più vile di lui stesso?
Misero te, se tu perdessi Iddio!
Saresti eternamente un infelice.
Pensa a ciò che ti dico seriamente,
Se Satana è crudel, crudel tu sei,
S'egli è deforme, tu deforme vieni,
Se è sozzo e lordo, tu con lui pareggi,
Sa egli è si terribile e crudele
Per quanto è deforme, sozzo e brutto,
Cosa sarà di te, uom rifletti
Che suddito ti rendi di costui
Ché più non v'è d'orribile e spietato
Né tra gli spiriti e fra le creature,
Le fiere stesse al par di lui son buone
E mansuete. Il più deforme mostro
Altro non è che in faccia a lui un modello
Di bellezza terrena; oggetto caro.
Ahi che in pensarci impallidisco e tremo.
Como esser potrà che l'uomo sia
Così stolto e crudel di dar se stesso
In preda al suo nemico, e addivenire
Vile soggetto, quanto nobile era?
No, negar non si può che tal non sia.
Uomo, deh per pietà ti prego stai
Forte e costante nella fede e amore
In sono di quel Dio che t'ha innalzato
Ad un grado così nobile e sublime,
Di sangue e di carattere. Chi vanta
Di esser civil quanto colui ch'è nato
In sen di quella Chiesa che col sangue
Si è fondata di un Dio a solo scopo
Di riscattare l'uom da eterna morte,
Fu duopo si che per un tal riscatto
Che un Dio s'incarnasse come uomo,
Esso adempì, quel che all'Eterno piacque,
L'inferno tutto contro lui si mosse
E quanto più potette di spietato
Tanto più s'infuriò contro di lui.
Il tentò, il deluse di minaccie
Istigato dai Demoni nell'uomo
Ne ricevette che di più non pote
Inventar di maligno e di crudele.
Sua morte fu la più spietata morte.
Tutto provò, tutto soffrì por solo
Fine di redenzione così grande,
Oh quanto dunque esser dovrà sublime
E nobile colui che fu redento
Dall'uomo Dio: ed il divin suo sangue
Tutto immolò per le umane colpe,
Per cristo, sì per Cristo l'uomo è nato
A nuova vita. E per sì gran mistero
Nato non sol, ma riformato in tutto
Il suo istituto nobile e civile,
Sì tanto no, non meritava l'uomo
Per le sue reità d'esser redento
Colla morte di un Dio, ed inalzato
A dignità sublime. Egli lo fece
Erede del suo celeste regno,
Ed adottivo figlio suo in amore,
In carità, ed in clemenza e affetto.
Tutto l'amor mortal vantar non pote
Per sola, io dico, un'intima scintilla,
Quanto l'amore di un Dio. Fu senza fine
Ch'ebbe ragione un dì di dire il mondo
Che impazzito d'amore era un Dio
Per lo nemiche a lui ree creature.
Dunque dire si può che l'uomo ingrato
È stato sempre; e sempre caro a Dio
Così lo fosse. Oh sì, così lo fosse.
Caro l'uomo ver lui; ei non sarebbe
Così tanto crudel presso di lui
E stuprato d'ogni più sacro diritto
Esso abusa; profana e maledice
Chi provido ed immenso a lui provvede,
In tutto l'uomo trasgredisce a Dio,
Invece Iddio tutto aderisce all'uomo
Così, così ne viene contraccambiato
L'immenso amore di un Dio? o uom rifletti;
Non obliar la tua nullezza, pensa
Che ne sei debitore a tanto amore.
Per Cristo, sì per Cristo, uom tu fosti
Inalzato a dignità divina,
Sostieni ancor la potestà di lui
Nel ministero Santo della Chiesa
Tu sei membro di essa, tu con fede
Confuti e propaghi sua giustizia,
E quel che in essa fai, lui tel concede
Per diritto Santo. Il minister che segui
Per la divina Autorità, transunta
Inviolabile è nel suo istituto.
Tutti i titoli e gradi in faccia al tuo
O divino Pastor, sono un sobbietto
Di cerimonia umana. Tu il più grande
Sei dei più grandi della terra. Il Santo
Seggio dei Santi, tu sublime reggi.
Sì, Sì, di nuovo in faccia al mondo io dico,
Tutti gli onor dei miseri mortali
Riuniti insiem ne fanno una scintilla
Dell'onor tuo. Tu che invitto reggi
Lo scettro della Santa religione
Che un Dio fondò col suo prezioso sangue
E portò fra di noi leggi e giustizia,
E leggi così giuste e così sante
L'uomo aver non potea fra le sue leggi
Ed impossibil'era, perché il vero
Lume non conosceva di giustizia.
L'uomo di cecità era colmo e prevalso
Dal maligno spirito d'averno,
Implorava dagli Idoli la grazia
Ch'essi non eran che inventate fole
Dei superbi ed orgogliosi della terra,
Per le lor cecità cadeva il senno,
E a lor capriccio s'inventavan Numi
E gl'immolavan vittime; e se stessi
Alcune volte gettavansi nel rogo
Per rendergli gli onori. Oh iniquo averno.
Che tanto t'inoltrasti col tuo infame
Raggiro iniquo ad inventar menzogne
Tessute insieme col barbarismo; e tutto
Quasi il mondo inducesti al falso
Creder de' Numi e degli Dei balordi.
Ma viva il ciel. fu stanco infine Iddio
E di tuo falsità squarcionne il velo
D'ogni menzogna e agli uomini, dischiuse
La verità celeste, e in poco d'ora
Vinse l'inferno e dissipò le infami
Deità dei gentili; e fra di essi
Fondò la Chiesa Nobile e civile
Trionfante degli idoli abbattuti,
Essa si propagò per tutto il mondo,
Si fece forte colla sua dottrina
E molti trasse a confessar l'errore
Della lor cecità. Pentiti a un tempo
Inalzar preci al vero Dio. La mente
Tutta svelaro di credenza in Lui,
E piangon sopra del lor cieco errore
D'essere stati adorator di Numi,
Che altro non eran che lasciva imago
Di creature umane. Il Creatore
Da lor non era conosciuto in parte
Maggior dell'universo. Oh santa Fede
Che la salute ci portasti al mondo
Colla legge di grazia e di giustizia,
Tu ci apristi il sentiero a ogni virtude
Tu bandisti fra i popoli le grazie
D'amor, di carità, ne apristi il fonte.
Tu sei l'immenso mar, che in te si chiude
Tutta la verità, tutte le sante
Virtù morali, patrie e religiose.
Grande è la nobiltà di noi cristiani
Che siam civili al sommo. Altri credenti
Non hanno tanto nello lor dottrine.
E chi fia mai che, quanto noi, ne vanti
Nobiltà così grande? Ah no, nessuno
Evvi che sia, quanto il cristiano civile.
La carità, l'amore dove han seggio
Nel vangelo di Cristo; perché esso
Va dietro la natura delle cose.
Giudica mite, e regola il suo senno.
Non presume ragion, se, non v'ha dritto.
Il dritto suo è la ragion morale
Onora ognun che ha merito, e condanna
Chi reo è di colpa. La sua legge è santa,
Giusta, amorosa ed imparziale a tutti.
Protegge il grande, il nobile, il plebeo.
Egli è uguale con tutti, danna e perdona,
E con giusto tenore di giustizia
È giudice severo in pari tempo.
È dolce il suo punir, perché egli è buono.
Quanto giusto e Santo. Dal suo seggio
Mai si diparte sconsolato il reo.
Non potrebbe di più chiedere l'uomo
Di bello a Dio, di giusto e d'amoroso
Quanto il vangel di Cristo. Di più Santo
Emanar non potea, se non un Dio,
Ché sublime è sua legge ad altre leggi.
E sola è giusta, nobile e sublime,
Sola alla carità, sola all'amore,
Sola n'è umile; Sola è virtuosa,
Sola è clemente, affettuosa e pia,
Sola è giusta di Cristo la dottrina
Che tutto il Santo, il bello in sé contiene
Della vera giustizia. E nel buon senso
Interpreta e comprende le scritture
Tale dottrina sublimeggia a tutte
Le dottrine degli uomini. Il suo bello
Ne risplende fra il bello delle cose
Come risplende il sole fra le stelle,
La sua scienza è profonda. Nel suo seno
Si racchiude la somma e pia sapienza
Dell'uomo Dio. È il misterioso arcano
Che ti riserva dell'Eterno. In fine
Concludendo l'analisi di tutto,
La pia, e santa dottrina della terra
È senza fallo e senza dir menzogna
La dottrina evangelica cristiana,
Altri non vanta aver la sua giustizia.
O voi eretici e settari
Non osate alzar le vostre fronti,
Davanti ad Essa di superbia piene,
Se no, sareste abbattuti e vinti
Ripieni di vergogna e di rossore,
Squarciate infin l'iniquo vel che copre
Il falso seduttor della giustizia,
Dal Vostro cuor togliete l'eresia
Che ben la conoscete. Il darvi vinti
Molto vi duole a chi professa il vero.
Ecco il perché voi non credete ad esso,
Perché vi vieta il vivere profano,
Perché inibisce il far cose indecenti,
Perché non vuol nell’uomo la lascivia,
Perché condanna il vizio e il mal costume,
Perché protegge il giusto, perché insomma
Ama il tristo, il mendico, il poverello,
Eccoli quali sono i suoi reati,
Per cui da voi si dice esser bugiardo
E falso. E venite sì dicendo,
Perché del vostro mal vi chiama al freno
E proibisce e fulmina colui
Che la purità macchia e l'innocenza,
E che profana, o veramente infetta
La santità delle divine leggi,
E l'ordine politico e morale.
Se questa è verità parlata a voi
Riformatori, eretici, incredenti,
Dite liberamente e decidete,
Se l'uomo fia meglio camminar nel vizio,
O imitar le virtù dell'uomo Dio.
Or via rispondete a tal domanda,
Disonesti, immorali e scandalosi,
Teologi, filosofi e dottori
Di riforme di sette e comunisti,
Compendiator di libera coscienza,
Rispondetemi almeno una parola
che decida la causa di tutti
Dal falso al vero, alcun, no, mi risponde,
E chi sarà colui che tanto ardire
Avesse in pronunciare una parola
Contro il supremo diritto della Chiesa
Di Cristo, io dico? E questo lo ritiene
Il Pontefice Massimo di Roma,
In essa sola si conserva il Santo
Vangelo e tutte le verità che sono
Congiunte in esso per divino diritto.
In esso solo è la giustizia umana,
Chi intendesse vantare altra giustizia
Avrebbe presunzione e orgoglio umano,
Io per me credo e credo fermamente
Che mai sarà che l'uomo prevalga a Dio
L'uomo fa leggi e scrive l'istituti.
Ma come uom dire non può che sia,
Giusto e perfetto nelle sue pretese,
Solo che Dio è perfetto e giusto.
E sol da Lui addivien la vera e santa
Giustizia umana e non divien dall'uomo,
Per me così l'intendo, ad altri lascio
Libera la coscienza e l'opinione.
Io mi lusingo che saranno pochi
Che vorranno negar che non sia vero
Tutto quello che ho detto. Infine io dico
Che nobiltà non vanta altra dottrina
Quanto quella del Cristo. La sua Chiesa
È infallibile e Santa. Ed è sì buona
Che tutti aduna nel timor di Dio.
Ne comparte benefica le grazie,
Che dal ciel ne riceve, a ogni suo figlio.
Essa è amorosa e pia. Concludiamo,
Il titolo più grande giusto e santo.
È riserbato al nobile cristiano,
Che si appella cattolico civile.
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Tu Dio che regni nell'eterna gloria,
Dall'empireo ciel volgi il tuo sguardo
Giuso su noi. Deh begnigno immenso
Abbi pietà de' miseri tuoi figli
Abitator di povera laguna,
Ricolma di lagrime e di pianto,
È prevalsa dal mal che mezza abbonda,
Deh! per pietà perdona i nostri falli
Tu Giudice clemente ed amoroso
Il vedi sì, quanto Noi siam meschini
Nel nostro nulla, siam caduchi e vani
Fragili e stolti; Noi non siam che polve
Impura, e vermi di materia immonda.
Ma l'alma no, non è così caduca
E material, ma essa è divina e Santa
Perché provien dal ciel. Dunque mio Dio,
Non la materia è che t'implora, è un'alma
Che a Te è sì cara, come sei a Te stesso
E per sì tanto amor. Deh! te ne prego,
Infondi per pietà nei nostri cuori
L'Ardor più grande di una Santa Fede,
Sollevaci infelici da tal fango
In cui noi siamo miseri mortali
Schiavi alla colpa. Deh su noi benigno
Volgi lo sguardo tuo pietoso, contempla
La miseria, il dolore, il pianto, il lutto.
Abbi pietà dello miserie umane
Noi torneremo tutti a te contriti
E penitenti d'ora innanzi, sì
Diremo umili, e sol per Te, mio Dio,
Riuniti in te noi sarem tuoi figli
Militi pur sotto la santa insegna
Del vessillo celeste e della Croce
Di Cristo, il Figlio tuo. Per esso il sangue
Tatto noi verserem; darem la vita
E tutto quello che donato ci hai.
Per Cristo sì noi daremo il tutto,
Perché tutto egli donasse a noi,
E noi cosa siam di fronte a Dio?
Un nulla; sì, sì, lo vedo un nulla.
Ah sì mio Dio il credo fermamente
Noi siam meschine e fragil creature
Misero impasto d'infeconda polve.
Verme schifoso, difettoso verme.
E allora perché dunque, uom superbo,
Non riconosci in te quello che sei?
Nulla tu sei, se non sei con Dio.
Non essendo Dio teco, ne addivieni
Misero schiavo di Satanno. E vaso
D'ogni morbo e malor, d'ogni miseria,
Chi è più misero mai sulla terra
Uomo di te fragil creatura?
Che speri tu se lungi te ne stai
Da quel Dio che t'ha dato alma e vita?
Deh pensa per pietà, pensa e rifletti
Che se tu perdi Dio, perdi te stesso
E se il desiri e il brami con affetto
Riguardarti in te stesso, trovi un Dio
E se un Dio è con te, che tu sei seco
Che vuoi dunque di più se teco è un Dio?
Ed essendo Dio teco sei sì grande
Che grande insiem non è tutto il caduco
Onor mondano. Sì la fede è quella
Che a tal grado ci ascende e ci fa degni
D'essere uniti a un Dio che ci ha creati.
O fede Santa, incomparabil fede,
Tu il tempio sei d'ogni virtude,
Tu la cattedra sei d'ogni giustizia
Tu la madre sei d'ogni conforto,
Tu sei l'immenso pelago di grazie,
Tu fornace d'amor, vaso di scienza,
Tu fortezza degli umili e dei giusti,
Tu dei contriti sei sicuro porto
Tu asilo degli afflitti, tu ristoro
Delle umane miserie. In fine, io dico,
Che chi fede non ha, non è felice
La fede è sol che fa felice l'uomo
Nobile e grande di virtù d'amore
Grande il fa tal che di più non pote,
Sopravanza in esso onor mortale.
E che sia tal ne abbiamo chiari esempii
Dalle moderne e dalle antiche storie,
E questa Santa incomparabil fede
Colla speranza aggiunta e caritade
In ogni tempo oprò fatti e prodigii,
Sopra Noè ne abbiamo il primo esempio.
Esso di Santa fé venne ripieno
Che duramente nel corrotto mondo
Per venti lustri ebbe a soffrir gli scherni
Gl'insulti degli increduli maligni.
Per tanta fede preservollo Iddio,
Tutta l'umana stirpe allor peria
Dalla invitta sua man. Di un tale esempio
Sempre favella il mondo. Se la fede
Non fosse stata che placata avesse
L'ira divina; sì, ma sì la fede
Sol fu che preservò l'umana stirpe
Nell'arca di Noè. E sol per essa
Si conservò per l'altro etadi il mondo.
Passiamo avanti, altro esempio in Lot
Osserveremo di tal fede, Iddio
Il preservò dall'ira sua per solo
Amor di fede. E che dirò di Abramo
D'Isacco, di Levi, e di Giacobbe
Di Giuseppe, di Giuda il Maccabeo,
Discendendo giù giù di ramo in ramo
Fino a Mosè, cosa dirovvi, udite.
Quanto oprò su di Lui la fede. Parli
La terra egizia, il Nilo, ed il Giordano,
Il mar rosso, il Deserto, il rovo, il Sinai.
Dirò di più di sì potente fede,
L'astro che Giosuè fermò; l'invitta
Gerusalemme e Roma, Tiro e Samo,
Parli Gerico ancor, parli Babele,
E sentirete se non fu la fede
Che i suoi tiranni vinse e in pari tempo
I vasti Imperi li annientò e distrusse,
O Santa fede quanto sei potente,
E gli elementi tutti e la natura
Alla fede ne furono ubbidienti
In ogni etade e sempre le saranno
Fino al dì che fra noi risplenda il sole
Dove penna sarà che il tutto scriva
I prodigi operati dalla fede.
Non fu la fede per cui Davidde vinse
Il superbo Golia? Non fu la fede
Per cui Giuditta liberò Betulia?
Non fu la fede insomma che nel mondo
Ha sempre riparato al mal comune!
Se non fosse la fede, cosa l'uomo
Addiverrebbe? un misero, un meschino,
Uno strumento di perenne pianto
Un servo e schivo di Satanno, un'ira
Dello sguardo divino; e chi potrebbe
Placare il cielo in far le sue vendette
Se non fosse la fede? Il tristo mondo
Cosa sarebbe? un regno di dolore,
Che poco più saria un inferno a paro.
O Santa fede che la tua potenza
Vinse l'abisso e trionfasti in cielo,
E l'uomo traesti dalla colpa. Erede
Il faceste del celeste regno.
Quanto sia potente la fede, il dica
Cristo Gesù ed il profeta, il santo,
Il martire, la vergine, il beato,
Quanto su loro oprò la fede, parli
La storia d'ogni etade fino a noi.
Immenso bene ne portaro al mondo
Ed arricchiro d'alme Sante il cielo,
E la virtù ne fé progresso tale
Che dal Golgota all'orto ed all'occaso,
E da levante fino a tramontana
Civilizzata ha in parte la natura,
Non fu la fede che l'Eterno mosse
A pietà delle miserie umane?
Ed il sangue dei Martiri e di Cristo
Non fu versato per la sola fede?
Parli la fé di Pietro, e di Giovanni
Di Giacomo, Matteo, Marco e Luca
E di Filippo, Barnaba e Andrea
E di Bartolomeo e di Simone,
Di Paolo, di Girolamo e Bernardo
D'Ambrogio, d'Agostino e di Gregorio
Di Francesco, di Agnese e Cicilia,
Ed altri che saria troppo il nomarli
Se questi vi additassi ad uno ad uno
Quanto ci avrei da dir di loro fede,
Basta, sol vi dirò che di prodigii
Ne riempirono il mondo, l'aere, il cielo.
Dunque se tanto fecero i remoti
Avi degli avi nostri per la fede
Cosa faremo noi che siam suoi figli?
Deh per pietà, fratelli, abbiam la fede.
Senza la fede siam meschini e miseri
E sconsigliati fuor d'ogni ragione,
Dunque fede sia in noi, fede e costanza.
E diamoci contriti in braccio a Dio.
Uditemi, uditemi vi prego.
Che io parlerovvi con amor, con zelo
Con carità ed affetto e con fervore
Che ispirerò nei vostri petti il Santo
Amor di fede; e sol per essa l'uomo
Ne ascende alla gloria e si fa grande,
E puote addivenir beato e Santo.
E come allor non avrem tal fede,
Che sia bastante, in renderci costanti
E fedeli a Gesù che ci ha redenti
A nuova vita. E per Gesù daremo
La vita e il sangue e morirem pugnando
Per amor suo e per amor di fede.
Noi non siam figli e militi di Cristo?
Non siamo i suoi più amati e prediletti?
Quel popolo redento col suo sangue?
Ma sì, noi siamo i militi di un Dio?
I primi eletti tra l'umana stirpe.
Chi altri fia che ci pareggi in pregio,
la nobiltà, in civiltà, e dottrina?
Nessun, nessuno è quanto noi cristiani
Grande e sublimo quando ch'egli sia
Riunito in seno della chiesa,
Dipendente al suo capo visuale
Il vicario di Cristo. Sol per questa
Strada si può venire costanti a Dio,
E fuor di essa no, non vi è salute.
Non si lusinghi l'uom per altro modo
D'essere caro a Dio, se pur lo crede,
Erra dal vero; anzi sono a dirvi
Che sarebbe pazzia e presunzione
Come colui che vuol colpire, al segno
Avendo gli occhi ben serrati e chiusi,
Colui che non è in sen di detta Chiesa
Non può trovar mercè di fronte a Dio,
Perché vive in menzogna e in eresia.
Così vinto e sepolto in tale errore,
Veder non puote mai la vera luce,
E veder non la può in alcun modo,
Perché il suo astro non fa chiaro il giorno,
Sempre in tenebre vive, e se cammina,
Passo non fa che non incontri inciampo,
E se ci cade precipita in rovina.
Ah meschino intelletto dei mortali!
Ah cecità d'increduli sapienti!
Che pel troppo presumere perdete,
La nobiltà che v'ha donato un Dio.
Ah miseri incredenti. È cosa orrenda,
Che nel pensarvi sol pavento e fremo
E inorridisco a un tempo. Che favello?
Che dico? Ah uom superbo, tanto ardire
Avrai in presumere credenza
Versi e perfetta fuor di detta chiesa
Non è di fede il credere altro domma
Fuor di quello del Cristo. E questo solo
Si conserva giusto in man di Pietro
L'unica verità vien bandita
Dalla sede apostolica romana.
Ciò dico e lo sostengo in faccia al mondo
E a chicchesia che in ciò dica che io mento.
Mi avete inteso? Nuovamente torno
A ragionarvi del prefisso tema,
Ditemi cosa è l'uomo senza fede,
Lasciatevi parlare l'alma in petto
E vi dirà che è un misero infelice
E sconsigliato di non retto senno
Anzi di più egli è meschino al sommo
È disuman, crudele e scellerato,
È perverso per gli altri e per se stesso,
È nemico di Dio, è un disleale
Presso di tutti, è un'anima di bruto,
Portiamoci il cuore sulle labbra,
Diciam la verità senza oscurarla,
Chi è più vile, più barbaro e spietato
D'uom che non ha amor che non ha fede
Ditelo voi Demoni d'averno,
Essi così, così risponderanno,
Uom non è più empio di colui
Che non ha fede e amor, grida l'averno,
E gli spiriti in ciel cosa diranno?
Diranno, oh sì diranno; è un mostro, un empio,
Ma sicuro che è tal, non si distrugge
Di una sola parola a quel che ho detto,
Chi è peggiore di colui che non ha fede?
Nessun, nessuno risuonare io sento
La voce universal di tutto il mondo.
Fanno eco l'aere e le celesti schiere,
E fra esse terribile rimbomba
La voce di Dio Tritonante,
Gli maledice e di furore, e d'ira
Tutto avvampante opra la giustizia
Su di colui che non ha fede e amore.
E come allor potrà misero e lasso
Placar di tanto sdegno il Creatore?
Deh siamo per pietà saldi alla fede,
Amanti e fidi a Dio cha ci ha creati,
Allor grandi sarem, sarem felici
E troverà la pace il nostro cuore
E la calma e l'anima trafitta,
Tutto noi goderem, se stiamo a Dio
Fidi e costanti. Diverremo a un tempo
Il vero affetto del suo amor divino,
E in eterno beati in lui saremo
Se avremo fede e amor, questo è già scritto
In ogni libro Santo e nel Vangelo.
Ah fede Santa! Chi su di te si attiene
Cerca il vero sentier che al ciel conduce,
E la cattedra tien d'ogni giustizia,
E porta il merito d'ogni caritade
D'ogni dottrina ha il vaso e d'ogni scienza
Lo specchio ha d'innocenza e d'umiltade,
Il tempio è delle grazie e di virtudi,
Il conforto è de' miseri, il sostegno
Degli orfani, ed afflitti e tribolati.
L'uomo che ha fede e amor cosa addiviene?
Una sublime e nobil creatura,
Che con tal fede conferisce in Dio,
Cioè quelché vuol l'uom, vuole Dio stesso.
Ed ei si sottopone ai voler sui
Ed il suo voler fa parte a quel dell'uomo,
Egli nelle opere sue opera con Dio.
E Iddio opra con lui come gli aggrada.
Mi spiego maggiormente; l'uomo e Dio
Sono una stessa cosa nel pensiero.
Quando l'uomo ha la fé speranza e amore
E caritade aggiunta, a tale ascende,
Chi negarlo potrà? manca il perfetto
All'uom perché è mortal, ma sempre e grande
E grande è tal che più non ha desire
D'oltrepassar la sua beltà. Felice
Appien si chiama e ne gioisce in Iddio.
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Santa gloria del ciel bella Sionne
Ti vedo, ah sì ti vedo e son ripieno
Del tuo angelico amor, che divo fuoco
Mi arde in petto e mi consuma il core
Ah sì lo sento, è la speranza
Che mi fa grande e mi conforta ognora
Con essa sì, con essa mi consolo
E tutto spero e ne confido in Dio
Ché senza fine è la di lui pietade,
Chi più giusto sarà di questo Dio?
Chi più potente amabile, amoroso
Sarà di lui? Nessun mi parla il cuore,
E mi dico che Egli è sommo e Trino.
E che regna potente nell'immenso
Vaso dell'universo, ove si racchiude
Tutto il creato e tutto il firmamento.
E tutto il grande che non ha confine
Quanto è amabile e dolce la speranza,
Di andare eternamente in seno a Dio.
Ah sì, sì, mio Dio questo lo spero
Di venire a goderti nella tua gloria,
Nel tuo bello infinito nel tuo grande
Nell'immenso piacer che non ha pari,
Su nel Trino tripudio e fra le danze
Dei serafici cuori e dei beati.
Ah divina speranza unica speme!
E chi sarà che non ispira in Dio?
Nessuno io credo che vi sia, sarà
Colui che non ha cuor, che non ha senno,
O che nulla non ha che senta amore
Ma chi risente amor, sente nel petto
La diva face, e ne desira ognora
L'immensa gloria del divino amore
E l'uman cuor se a tale non aspira
Pace non trova, e se la cerca altrove,
Sicuramente che la cerca invano
Altra pace trovar non può sul mondo
L'uomo se non colla speranza in Dio.
Per dovunque lui va tutto è mortale
Tutto è caduco e vano, tutto insomma
Quel che è mondano si riduce in polve.
Solo che Dio vivo in eterno e regna
Nell'empirico ciel. A un sol suo cenno
Tremano tutte le celesti schiere,
E paventa l’inferno e freme e rugge
E ad un suo cenno tutto l'universo
Umile e ubbidiente sta attendendo
Il supremo di Lui divin comando,
E la sua voce terribile e tremenda
Dal ciel rimbomba fino al cupo abisso,
Ah potenza di un Dio! miseri noi
Peccaminose e indegne creature,
Ed io che farò debole e lasso
E indegno peccator? Mio Dio, favella
A un indegno e vilissimo tuo servo
Che di speranza sopravvive in questo
Avverso mondo, solo la speranza
È che saldo mi tien alla tua fede,
Mi rende a un tempo fortunato e grande,
Ma che dico fortunato? Ah stolto!
Fortunato sarò quando nel cielo
Sarò con Te onnipossente Iddio,
Deh non guardar se peccatore io sono
Misero impasto d'infeconda polve,
Schiavo alla colpa, creatura indegna,
Io sono indegno, è vero, Tu sei pietoso
E misericordioso senza fine,
E per questo in te spero, e in te desio
E lo sperare in te sentomi in petto
Tutto avvampare del tuo Divo amore.
Come campar senza sperare in Dio?
O speranza divina unica speme!
Tu sola sei che consoli l'uomo
Nel travaglio nel mal nella miseria,
Oh quanto è di sollievo la speranza.
È il refrigerio delle umane angoscie,
Il salutare balsamo di vita.
Fortunato è colui che in Dio ne spera
Immensa gioia ed unico conforto
D'ognuno che in Te spera e confida
O Sommo ben dell'Universo, o sommo
Unico mediator dei nostri mali,
Tu sei quel Dio di santità infinita
Clemente immenso, e giudice severo
Tu protettore dei miseri ed afflitti
Tu medico sanabile e amoroso
Vaso di carità, mare di grazie,
Tu fornace d'amor tempio di scienza
Tu protettor degli umili e dei giusti,
Tu amoroso e pio; tutto in completo
Sei l'immenso tesor dell'Universo.
Ah che dico insensato! tanto ardire
Avrò di decifrar la tua grandezza?
Deh per pietà mio Dio, tu mi perdona
L'ardir che io prendo in designare in carte
L'amore tuo, la santità, la gloria
Qual gloria amor qual Santità qual forma
Misero io ti darò che ne abbia sola
Una minima idea della tua gloria
Della tua santità e del tuo amore
Oh gloria e santo amor senza ragguaglio,
Senza limite insomma è la tua gloria
Come il tuo amore e santità. Felice
E beato è colui che in Dio ne spera,
E chi ha speranza in Dio fa grande l'alma
E annobilisce il corpo. La speranza
Apre il sentiero a tutto le virtudi.
Colui che spera in Dio, non si contende,
No, non erra giammai chi spera in Dio.
Se io debbo dir quanto nel cuor dell'uomo
Predominato alla speranza è duopo
Che parlando di ciò, nei testi ascenda
Delle vite dei martiri e dei santi
E degli anacoreti e penitenti,
Di essi che vi dirò? Dirovvi tanto
Quanto che basti a confermare il vero
Dei loro prodigiosi avvenimenti
Che d'eroismo n'hanno gloria e vanto,
Nelle remote età, nelle viventi
Che nella storia abbiamo registrati
Le gesta di costor. Per tenerezza
Piange il fedel, quando le loro vite
Viene leggendo ed una prece al cielo
Indirizza a loro onor tutto commosso
E contrito s'umilia e di suo colpe
Sente la gravità e allor domanda
Perdono a Dio; e la speranza a un tempo
Il consola e il riconduce al santo
E retto sentier della virtude,
Questo, sì questo è propriamente il vero
Effetto che produce al nostro cuore
La buona fede unita alla speranza,
Sì, la speranza fu che i nostri Santi
E martiri anzi detti furon costanti
E fedeli alla fede. Voi il sapete
Che la morte sprezzaro, ogni periglio
Per lor fu lieve l'affrontarlo, e ognora
Il patibolo, il rogo e le torture
Per lor non furo che festini e danze.
Tutti contenti senza alcun timore
Le affrontarono ilari e sorridendo
Di speranza ripieni e tripudiando
Morendo ancor rendevan lodi a Dio
Se tale oprasse in essi la speranza,
Parli la storia del furor tiranno,
E dica quanto sangue sparso Roma
Quanto la Libia, Grecia e l'Ottomanno,
Che si oscurò per la pietade il sole,
Corse a rivi, a sorgenti ed a torrenti
Il sangue di costor. Ma la speranza
Li rendea intrepidi e indefessi,
E per l'amor della cristiana fede
Il sangue loro diedero e la vita,
Quasi tuttor si vede rosso il suolo
Nelle arene dei circhi e in molti luoghi
Dove si consumava il barbarismo,
Sempre le macchie vi si vede impresse
Sulle pietre, sui marmi e le colonne
Del sangue dei martiri e dei santi
Che or sono uniti eternamente in Dio.
La fede e la speranza li condusse
Al merito di gloria eterna. E dire
Si può che con divina e santa fede
Vinceva il furore dei tiranni.
E fra mezzo ai dottor di culto e legge
Colla scienza evangelica cristiana
Confutare la falsa idolatria.
Negare i numi e professaro il Cristo
Ai padri rinunziarono e ai congiunti,
Abbandonarono le patrie lor natie
E ripieni di fede e di speranza
Fra i deserti ne andarono e fra i dirupi
A ringraziare ed onorare Iddio,
Viver fra i lupi e magnucare l'erba
Nei primitivi tempi della Chiesa
Ed anco in altra età vicine a noi
Sì son vedute schiere in ogni parte
I convertiti alla cristiana fede
Indefessi varcar colline e monti
Valicar fiumi e navicare i mari
E portarsi fra i popoli infedeli.
A propagar la religion di Cristo.
E tutto questo non ha fatto l'uomo
Per amor della fede e di speranza?
E inebriato di ciò brama e desia
Di andare un dì a godere la gloria
Eterna in cielo unitamente a Dio.
La speranza e la fé fu che l'indusse
Ad intraprender dolorosa impresa
E renunziare ad ogni ben mondano
Sempre costanti colla mente in Dio
A null'altro aspiravano che al bene
Dell'alma loro. Disprezzare il mondo
E apprezzare il cielo, questo solo
Pensiero li teneva strettamente
Uniti a Dio e forti alla lor fede.
E la speranza maggiormente a un tempo
Li rendeva più intrepidi e costanti
Al Cristo nella lor misera vita,
Austera al sommo in discipline e stenti.
Ma questa loro vita penitente
Era sì dolce a lor che si può dire
Che godevano il ben del sommo bene
E fra mezzo ai tormenti, al caldo al gelo
Godevano il piacer di tutto il mondo,
E sperando sentivano nel cuore,
L'anticipato ben del paradiso.
Grande era il desir della speranza
Che alcune volte riguardando il cielo
Solevano veder tutto il suo bello,
E confutar delle divine sfere.
Anzi di più li rese la lor fede,
Colla speranza unitamente aggiunta.
Degni di favellare al visuale
Ora con questa ed or quella Imago
E ragionar di misteriose cose,
E per esse prevedere il futuro.
La speranza e la fede si può dire
Che rende l'uomo di tal grazia degno
Che anticipatamente ne riceva
La mercede da Dio del buon oprare,
Anzi si può dire che vivendo
Ne sente i gradi dell'eterna gloria.
Insomma è grande e fortunato al mondo.
E chi è più felice e più beato
Di colui che sperando fida in Dio,
E apprezza il suo ben che è immortale?
Ei null'altro desira nel suo cuore
Che di servire a Dio. E di speranza
Tutto ripieno indrizza preci al cielo
E prega e implora per il ben di tutti.
Oh quanto è dolce e bella la speranza
Che in fin liberamente dir si puote.
Che sola l'uom consola in questo mondo.
Osservate di grazia un uom che sia
Nelle più deplorevoli miserie,
In tugurio di povera famiglia
Lagnarsi dello stato suo mondano
E dagli occhi versar lacrime a rivi
E vinto infine dal doler soverchio
Querelando ne accusa il suo destino,
Conoscendolo in sé troppo crudele
E si protesta al mondo per la troppa
Crudeltà che gli usa e si lamenta
Trattandolo da ingiusto e disumano
Così viene dicendo amaramente
Perché privarmi delle mie sostanze
E di soverchio altrui. Chi troppo
Mangiar goloso e chi morir di fame,
Chi di abiti sfoggia e chi mendico
Lacero e nudo nel rigor del verno,
Così così ne fa lagnanza l'uomo,
Ma a un tratto in sen gli nasca la speranza
E si rivolge a Dio tutto paziente
E umiliato con ferventi preci
Il prega, lo supplica dimesso,
Che il conforti, il consoli e che gli dia
Pace e costanza in tollerare i mali
Di questo mondo; e a man congiunte il vedi
Genuflesso inchinarsi e tutto ilare
Volgere gli occhi alle celesti sfere
E inebriarsi della sua bellezza
E sperando raffrena il suo dolore
Sì che lo rende a un tempo la speranza
Felice e grande e si beisce in Dio
E tutta in esso pon la sua fortuna
Vive tranquillo e la speranza a un tempo
Il fa contento e rassegnato a Dio.
A un tratto il vedi questo uom mendico
Divenir grande dalla sua bassezza,
E oltre passar le dignità mortali,
Che esse non sono che caduchi onori
Sottoposti alle leggi di natura
E al destino comune. Il loro onore
È passeggero sulla terra. E vola
Come fumo sull'aere e sparisce,
E null'altro non è che una comparsa
D'un atto scenico tutto il ben del mondo.
Ma il ben di Dio in eterno regna,
E in eterno godesi il suo bene.
E chi ha speranza e fé vivendo ancora
Grande addivien che è sommamente grande
Ed infinito è il ben che in terra gode,
In tutto è grande chi ha speranza e fede,
E carità e santo amor. Felice
E grande e fortunato insomma
È colui che sperando fida in Dio.
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che
produce la carità cristiana
O bella incomparabile armonia
Degli angelici cuori e dei beati.
Tutta la sento in me per santo affetto
Di carità. Chi più dolce ha il cuore
Della pietosa carità cristiana?
Essa è clemente amorosa e pia,
Essa è de' mortali unica speme,
Essa è figlia del ciel, madre amorosa
E conforto dei miseri ed afflitti
Pascolo salutare dei poverelli
Ed ospizio di tutti i tribolati,
D'ogni umana miseria unico albergo.
Tu carità madre amorosa sei
Degna ancella di Dio, unica gemma
E prediletta del celeste regno,
Tesoro immenso delle creature
Vaso d'ogni virtù, germe di fede,
E di speranza unico rampollo,
Niuna cosa v'è quanto la carità
Buona, benigna d'ogni amor dotata.
Essa dire si può che in tutto sia
Sublime ad ogni amor che in petto alberghi
A ogni vivente e umana creatura
Chi è più santa di Lei su questo avverso
Misero mondo? Religione il dica
E lo contesta la pietà cristiana
E la misericordia dei fedeli.
Se carità non è l'unica speme
Di noi miseri figli della colpa
Osserviamo di grazia, ove che sia
Un'opera più santa e più gradita
Piacente a Dio quanto la carità.
Null'altro, null'altro è accetta a Dio
(Lui il dica pur) quanto la carità,
Perché da essa ogni santo amore
Se ne produce, o ancora a un tempo stesso
Ci guida al ben morale e religioso
Domandiamo al nostro intendimento
Alla nostra coscienza, al nostro cuore
Quale il più vero mezzo, il più efficace
Da effettuarsi. Iddio voi sentirete
Che una voce segreta vi risponde
Dall'interno del cuor, che così dice
La carità l'è così cara a Dio
Nulla ha più caro in sé che carità
Perché da sé la carità si muove
E si comparte in ogni umano cuore.
Per cui credon dobbiam che sia di fede
Che solo la carità l'uom conduce
A batter il sentier che guida al bene.
E a viver da onesto e buon cristiano
Da umile, da saggio e virtuoso,
E in pari tempo a sé richiama il male
E mette in calma la coscienza. Il tristo
Oprar raffrena e l'uom contrito rende
E il conduce alle preci a penitenza
Ed umiliato lo rimette a Dio.
Quanto è felice e fortunato un cuore
Che dalla carità vien dominato,
Che arde di carità che sol desia
Di soddisfare al santo e pio dovere
Di carità come comanda Iddio.
È come incombe a ogni uom di questo mondo.
Chi non ha carità non sente amore,
È un essere insensibile, e spietato.
È ignobile, inumano, anzi crudele
Chi non ha carità, si puote
Dire che sen vive senza amor di stima,
E se egli ha amor, non è che l'animale
Ché esso va dietro all'amor del senso.
L'amor del senso è l'amor del bruto.
Però stima non ha brutale amore.
Esso, il vedete, senza alcun riguardo
Corre al suo istinto e rompe ogni legame
Dell'ordine morale e non risente
Ripugnanza e rossor; senza ritegno
Né viola ogni legge, e trasgredisce
Ciò che non dovrebbe; in tutto viene
L'uomo strupator dell'altrui dritto
E immerso infine nel suo mal si rende
Assai peggiore, che non sono i bruti,
È soggetto d'ignobile alleanza,
E il rigetto degli uomini e di Dio
Il più schifoso e putrido animale
È l'uomo che non ha la caritade.
E nuovamente vi ripeto e dico,
Chi non ha carità, chi non ha amore
E non sente pietà d'un che gl'implora
Un sollievo, un soccorso, un alimento,
Un asilo, un conforto, è uno spietato
Che nulla ha in sé che ne produca effetto.
Che è indegno di merito e di stima,
E chi sarà che al cuor non risenta
Delle miserie altrui una emozione,
Che risvegli nel cuor l'umano amore?
Verso l'altro uom che deplorando geme.
L'uom per l'altro uom dev'impegnar se stesso.
E questo esempio ce l'ha dato Iddio
Che tutto immolossi come Verbo,
Per ricuperar gl'immensi mali in noi,
Questa è la carità che deve l'uomo.
Questo è l'amor d'ogni amor sublime,
Questa saria la vera concordanza
Che molto piacerebbe all'uom e a Dio,
E allora Iddio benedirebbe l'uomo
E si unirebbe in conferenza seco.
L'uomo di Dio sarebbe il vero affetto,
L'unica speme del suo divo amore,
Ma quando ha in sé la carità, mercede
Riceve immensa dell'eterno bene.
Qual più bell'alma ammiri fra i giusti
Di quella che è in sé colma e ripiena
Di carità d'affetto e d'amor proprio?
O carità del ciel fulgida stella,
Tu vita dei viventi somma e grande,
Luce d'ogni Virtù, madre d'amore,
Tu sei sì clemente e sì pietosa,
Che ami ognun che vedi esser mendico,
E lo sollevi e lo conforti, e dici
A tutti: Figli miei venite sotto
Al manto mio, troverete asilo
Per amor di quel Dio che ci ha creati
Perché così comanda e così vuole
La legge divina. Ogni vivente
È in dovere ed in obbligo ristretto
Di usar carità per chicchessia,
Oh quanto piace questo nome a Dio
Di carità, con essa si consola
E invita il ciel a tripudiar con Lei.
Tutto il suo affetto è la pietà cristiana
La carità dei giusti è il Vero amore
Dell'amor suo e d'ogni amor celeste.
Sì sì tu carità, sola sei quella
Che l'alme rendi nobili e beate
E le conduci eternamente a Dio.
Cosa è la carità? La prima strada
Che al ciel conduce. Il primo amor sociale,
Il primo affetto dell'affetto umano,
La prima luce della luce nostra,
Sicuro porto dello creature,
E rocca inespugnabile del giusto,
Arme potente di chi fida in Dio,
Vero terror dell'insidioso averno.
E dal tuo potentissimo braccio
Ei cade vinto e orribilmente rugge,
Tu, tu carità pietosa ammiri
La sconfitta degli empi, e sorridente
Tutta amorosa doni pace e amore,
E tutti accogli nel tuo sen materno
L'umane angoscie per amor di Dio,
Per dovunque abbisogni te ne vai
A sollevar nelle miserie ognuno,
Tu sei così clemente e valorosa
Vai pur fra mezzo a bellicose schiere
A confortare il misero che langue
E lo sollevi dalle acerbe angoscie
E con tua man pietosa in essi infondi
Il salutare balsamo di vita
E nel suo duolo lo consoli e porgi
Benigna aiuto a chi tel chiede. Sì,
Subito accorri e te lo stringi al petto
Qual caro pegno e lo provvedi in tutto
E pien d'affetto senza distinzione
Ognuno accogli di qualunque sesso
E di qualunque età, tutti tu li ami
Con zelante amore. Niente rimiri
Di dignità, di nobile e di abito.
Per te son tutti figli di una madre
E tutti ami con eguale affetto
Con indistinto amore perché sei giusta,
Perché sei buona e pia. Senza tregua
Sempre percorri, dove il male abbonda,
Negli ospizii ten vai tutta amorosa
E con piacenti ed umili parole
Tutti consoli nelle loro angoscie
E preghi e comandi che si dia
Soccorso a ognuno che il domanda a nome
Di Dio, di Cristo, di Maria, dei Santi.
Or questo ammiri, or quell'altro osservi
E dove vedi che il bisogno occorre
Tu vi provvedi subito all'istante,
E tutti ecciti con amor con grazia
Che con fedeltà, seguitino all'opra
Tua santa e pia, e con santo amore
Prestino aiuto a ognun che n'abbisogna
Perché così lo vuole chi del tutto
È padrone e Signor, che il tutto muove
E fra di noi mortal dona e comparte
Il bene e il male a piacimento suo,
E fa di tutti gli esseri un concerto,
E a suo piacerà ce li dona e leva
Sì sì questo è quell'essere sublime
Quell'ente sommo creator di tutto,
Il promotor delle infinite sfere
Il guidator di tutti gli elementi
Che nel creato hanno materia e forma.
E tutto ciò che vegeta la terra
E tutto quello, che produce il mare
Ciò che per l'aere e per il ciel vagheggia
E tutto quel che estate nel creato,
Da lui, sì da Lui dipende il tutto,
Dal suo voler dipendono le cose
Di noi mortali, tutte le cose nostre.
E tu o Carità di questo Dio
Sei vera figlia e prediletta ancella
Che ad ogni suo voler saggia e ubbidiente
Umile adempi al tuo devoto ufficio
E soddisfai al suo voler divino.
E giusta e saggia ne deve dare segno
Che ti dirige il creator. Ten vai
Da un tugurio all'altro, dove vedi
Che ti desira il povero il mendico,
Ei domanda pietà, subito accorri
E senza avere in te nessun riguardo
Della tua nobiltà, di tua grandezza
Ti vedo là tutta pietà ed amore
Introdurti in povero abituro
Dove vedi un'afflitta e trista madre
Circondata da prole numerosa,
L'un gli domanda il pan l'altro alimento
Dalle proprie mammelle, e tutta smunta
Va ricercando in magro sen non trova.
Che pelle grinza; ed allor piangendo
Si unisce ai figli in lamontevol suono
E lagrimando ne querela il fato
Così crudele e ne domanda a Dio
Il fin dei suoi dolorosi giorni.
Ed essa impreca nell'estremo affanno
La disumana e inesorabil Dea
Che tronchi il corso a dolorose vite.
Chi è, chi è che a tal querela accorra
Se non sei tu carità. Tu sola
Senti pietà delle miserie umane,
E provvedi a ogni mal a ogni miseria.
A ogni lutto comun che il mondo abbonda.
Tu sol, la sola sei amorosa e pia,
Questo io riferisco senza aggiunta,
Così m'esprimo dicendo che intendiate
Se carità non fosse sulla terra
L'uomo sarebbe un mostro disumano
Senza ritegno nella sua ferocia.
Io vi assicuro che costui sarebbe
Assai peggiore delle inumane fiere,
Barbaramente si vedrebbe agire
Come una belva orribile e superba,
O come un lupo in mandriano gregge
Che or quello addenta, ed or quell'altro svena
Che tutto rabbia inferocito rugge
Involto fra le vittime ed il sangue
Si pasce sitibondo e mugge e freme
Crudele e ingordo vien pascendo ancora
Più avido addivien nella sua fame
E non vi è membro che lo sazi sempre,
Urla e ruggisce e a nuove prede aspira
Che dir dovrei di questo mostro? Tanto
Avrei da dirvi della sua ferocia
Che basterebbe a inorridire il mondo
Ed oscurar la chiara luce al sole,
Pianger le rupi e lagrimar le roccie,
Taccio di ragionar di questo mostro
Quanto mai è terribile e spietato
Per non veder dagli occhi degli astanti
Un dirotto e lacrimoso pianto.
Di nuovo vi ripeto, vi sia d'esempio
Che se non vi fosse carità fra noi
L'uno coll'altro ci faremmo preda
E passeremmo d'ogni male il segno
E addiverremmo miseri strumenti
Di delitto ed esseri insensati
Privi d'ogni virtù, privi di amore,
E l'ordine statuito di natura,
Non avria più limite. La legge,
Se carità non fosse sulla terra,
Sarebbe nulla fra l'umana stirpe,
Sicuramente che verrebbe l'uomo
A perdere ogni ordine morale.
E la credenza dell'eterna vita,
Addiverrebbe favola fra noi.
Ma si che a tutto questo arriveremmo,
Se carità non fosse torno a dire,
Che invan creato Iddio avrebbe l'uomo.
E l'uomo no, non crederebbe in Lui,
Di superbia gonfio e di baldanza
Apprenderebbe a dir un rio linguaggio
Che tutto ciò addivien dal caso,
Che in noi non evvi sol che la materia
Forse sarebbe il dir che in noi non vi fosse
Un’anima sensibile e immortale,
Sì questa empia massima d'averno
Se in pochi or regna, regnerebbe in tutti.
Ma viva il ciel, tal non sarà, fratelli,
Deh per pietà non obliate il santo
Dover di carità se non volete
Deviar come stolti, e da infettivo
Vento farvi portar via come foglia
Che or cade in questo ed or in quel pantano
Ora fra rupi e balze, ed or fra pruni,
Ed in fine in voragine di abisso.
Fratelli per carità vi raccomando
Siam fedeli e costanti nella fede,
E forti e saldi in carità e in amore
Come rocca di bronzo e come scoglio
Sulla riva del mar che schiva l'onda.
Speriamo senza dubbio, e la speranza
Uniamola alla fede e dietro ad essa
Vi sia la carità congiunta insieme,
Se tutte tre riunite in un sol nodo
Avrem queste virtù scolpite in cuore,
Sulla legge divina vi prometto
Che ne anderemo eternamente in cielo
A tripudiar con Dio nella sua gloria.
Scritte l'anno 1869.
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Stamane 6 Dicembre 1870 essendo andato di buonora ad ascoltare la Santa Messa nella chiesa, Arcipretale di questo paese (Arcidosso mia patria natia) poiché detta chiesa ha il titolo di S. Niccolò per poi ritornare udita la Messa al mio ritiro di Monte Labaro.
Appena che mi sono inginocchiato a pié di una colonna di fronte all'altare maggiore, dove il sacerdote celebrava la messa, e dove era un grossissimo Crocifisso di legno, subito mi trovo assalito da una crudele afflizione di cuore, venendomi per la mente un'infinità di dubbi, di sospetti e di rimembranze sulle calunnie falsità e vituperi che di me si andavano divulgando di giorno in giorno fra questi infelici e sconsigliati popoli dell'Amiata. Questo sì fu per me un momento di terribile angoscia, e fissando gli occhi al sopraddetto Crocifisso venni esclamando:
O mio buon Gesù, come io sono addivenuto un soggetto di provoca alla diceria e maldicenza? Non avranno forse ragione. Io non lo so mio buon Gesù. Sono io forse di fronte a voi e a loro un soggetto di falsità, e di nocumento! Se ciò fosse, datemi chiarezza, e fatemi conoscere se io mi sono reso reo di sì tanto male, perché forse non avrò saputo eseguire esattamente tutto ciò che da voi mi era stato ordinato.
Dio mio, buon Gesù, manifestatemi se io cammino, o no per la strada della vostra giustizia e se faccia secondo la volontà dei vostri celesti annunzi.
Appena terminata questa esclamazione mi si aprì davanti agli occhi un raggio di luce così splendente che mi abbagliò la vista e mi coprì di meraviglia e di stupore.
Vidi fra mezzo a tanto splendore la vera effige di Cristo nella persona del sacerdote che celebrava la Messa vestito di una cappa rossa, colla mano sinistra teneva un calice traboccante di un liquido color turchino; tutto grondante la faccia, il capo, le mani i piedi a vivo sangue, e il resto della vita, era pure uno strumento di sangue.
Io vedendo un simile spettacolo, giunsi a un eccesso di stupore, che non potevo reggere in me un impulso di dolore che quasi fui per gettare uno spaventevole grido.
Gesù portandosi la mano destra alla fronte, mi accennò con un dito il silenzio. Io abbassai subito la testa, e pieno di stupore e di spavento caddi assopito come in profondo sonno, e in questo stato di assopimento mi risuonò all'orecchio la viva voce del nostro buon Gesù così dicendo – Uomo del mio mistero soffri, sì soffri per amor mio, che così voglio, e cosi è la volontà del Padre mio. Vinci te stesso, che io vincerò l'accanita guerra che a te fanno i maligni, increduli e traviati cristiani.
La loro sconfitta avverrà il dì del tuo trionfo e della mia Chiesa. Io dico, Uomo del mio mistero, vinci te stesso, che io vincerò i tuoi nemici.
In te stanno racchiusi i destini dei popoli, la tua missione si racchiude in un profondo mistero, che non è chiaro a conoscerlo solo che agli occhi dei giusti, e di questi ve ne sono sì pochi tra i popoli traviati e corrotti, come il cercare le ghiande sotto le quercie dopo passato l'ingrasso degli animali neri, e come cogliere i pomi in un maturo pero dopo passato il furor del turbino e della tempesta.
Ti dico, Uomo del mio mistero, datti coraggio e vinci te stesso, e segui da valoroso l'impulso delle tue ispirazioni. Quello che or ti procede al tuo orecchio della mia viva parola, sia da te scritto in un memoriale, e altro ne scriverai in parte di tutto ciò che ti attrista e ti affligge, e quanto in te è avvenuto riguardo all'effetto della tua Missione, da che per celeste comando dalla tua misteriosa grotta ti portasti in seno alla tua famiglia per dare principio all'opera da me voluta, derisa e perversata dagl'increduli e traviati cristiani, amata e ammirata dai creduli e dai giusti.
Scritto che avrai questo, per mano sicura io sigillato plico lo invierai a colui che ti fu di scorta, quando andasti per altro celeste comando a implorare la benedizione del mio Santo Vicario capo supremo infallibile della mia Chiesa, che dono ricevesti da lui che basta a farti grande avanti a me e al padre mio.
Altro dono riceverai nuovamente da Colui che l'ho fatto Santo per succedere a Pio dopo Giovanni e Martino. Il dono che riceverai sarà dello stesso nome, ma di differente forma.
Ti dico, Uomo del mio mistero, che tutto questo scriverai in tal memoriale.
Sappi che io sono sdegnato all'eccesso con tutta l'umanità, maggiormente coi Principi e sacerdoti della Cristianità. Essi hanno dimenticato la mia beneficenza in loro, sono addivenuti superbi, e non cercano che fare onore a se stessi. Sono addivenuti avari e crudeli, che hanno scannate e mal condotte le mie pecorelle, come avidi lupi ed animali feroci e rapaci. Hanno lasciato i popoli in preda al vizio e in ogni iniquità per non essere dai medesimi riguardati nella loro pessima condotta, e la disperata condizione dei popoli oppressi e gementi li ha indotti a divenire terribili presso di me e presso di loro. L'ira sua si è rivolta maggiormente in me, che così come mi hai veduto, mi hanno suppliziato e mi suppliziano giornalmente. L'ira del padre mio hanno resa inevitabile, cadrà sopra di loro così terribile, che non vi sarà scampo della loro demolizione nei comodi di vita. I facoltosi i grandi della terra, che hanno dimenticato la mia beneficenza, e assassinate e mal concie le mie povere pecorelle cadranno sulla polvere colle loro grandezze, e sostituire al suo posto i sudditi suoi.
Le vittime loro saranno in gran numero; e pochi rimarranno i prescelti a governare e custodire il mio gregge. La disperata ira dei popoli oppressi e malamente trattati da loro, si rivolgerà su loro stessi, e coloro che dai medesimi erano tenuti come servi e sudditi gli addiverranno nemici e giudici della loro malvagità. Le armi, orribili strumento di morte, dai medesimi fatte fabbricare per la per loro difesa saranno brandite su loro stessi, e uomini e donne e bamboli e vecchi inermi unitamente a loro perderanno la vita, e molte saranno le anime che piomberanno all'inferno con esse.
Ti dico, Uomo del mio mistero, io sono adeguato al colmo coi grandi della terra maggiormente, (come ho ridetto) coi primi Ministri della mia Chiesa. Molti di essi hanno posposto me a una vil moneta d'oro e d'argento. Sono peggiori assai di Giuda Iscariotte. Esso mi diede in mano dei carnefici, ma costoro in persona giornalmente mi crocifiggono. La povertà, l'umiltà che io lasciai loro per divino retaggio del Padre mio, l'hanno trasferito a una vita comoda privata e lasciva.
Io per loro non sono che un essere di lucro e di riparo alla loro fetida puzzolente sepoltura imbiancata. Ma farò conoscere loro il mio sdegno nel furor dell'ira del Padre mio in mezzo ai popoli inferociti dalle provocature dei pessimi principi e cattivi e inverecondi sacerdoti; sarò severo e terribile per loro, quanto loro sono stato paziente, clemente e amoroso.
Essi molto confidano in me, ma sono di me nemici perché profanano la mia legge, e malamente custodiscono il mio povero gregge.
Il mal'esempio in parte si è originato dalla loro malacondotta.
Verrà il trionfo della mia Chiesa da loro ansiosamente aspettato, ma sta galleggiante come l'arca dell'Alleanza sopra a rivi e laghi di sangue di coloro che hanno malmenata la mia giustizia e profanato il mio nome e la mia parola: i popoli saranno riscattati da.. .. questo taci, che così voglio, ma quanto seguo scrivi in tal memoriale.
Ti dico, Uomo del mio mistero, per commissione dell'amico delle tue confidenze, farai recapitare detto memoriale nelle mani del mio Vicario: sia ritenuto da lui come dono di un mio trasmodevole avvertimento: dorma il suo capo sopra il medesimo, e sarà consolato dalle tante sventure che l'opprimono; i sonni suoi saranno angelici; nei medesimi gli sarà rivelato la verità dalle tue parole. L'autenticità di un tal prodigio toglierà il dubbio che fin qui hanno avuto della tua missione, e trentatre dì dopo il mio primo dì del mondo anderai da lui col manoscritto della nuova Riforma della mia Chiesa e colla nuova legge del governo civile, politico, morale e religioso: la severità della sua giustizia farà felici i popoli e santo il clero.
Ti dico Uomo del mio mistero, tutto questo devi eseguire esattamente senza trasferire un tale ordine di un sol momento. Torna al tuo ritiro e per quarantasette dì non scendere dal tuo monte che il dì della concezione della mia SS. madre e il dì del mio nascimento, e il dì di capo d'anno, il resto dei detti giorni sarà per te una continua occupazione nel più alto affare dell'importanza di tua missione.
Ti dico, Uomo del mio mistero, parimente tutto questo scriverai in tal memoriale.
La mia Chiesa dal primo dì di capo d'anno settedecimo primo si metterà in estremo lutto coll'obbligo il più ristretto a tutti i pastori e ministri dell'orbe cattolico di fare un triduo in onore della SS.ma Triade celeste con aggiunta di preci alla mia SS.ma Madre tutti i primi dei mesi che scorreranno dal capo d'anno settedecimo primo fino all'anno, al mese, al giorno del trionfo della mia Chiesa, e la Redenzione dei popoli riuniti tutti in una sola fede in seno della medesima.
Questo avverrà quando l'Erede dell'aquila e del giglio avrà inalzato la mia vittima in luogo eminente sopra a colossale edificio di originale struttura, e i lustri suoi saranno oltre passati al numero dei doni dello spirito mio, e gli anni suoi saranno oltre passati al numero degli anni e mesi miei che ebbi di vita sul mondo e i mesi suoi saranno oltre passati decimoterzo e due terzi circa moltiplicati gli anni miei, e i giorni suoi saranno oltre passati tredicesimo terzo e ventotto molteplicati i mesi miei. Questo sarà il termine fisso del movimento del trionfo della mia Chiesa e del risorgimento, di tutti i popoli della terra.
L'ora di un sì gran movimento sarà trentatre minuti avanti il meridiano.
Eccoti uomo del mio mistero il perno preciso del mutamento delle vicende umane.
Dirai all'amico delle tue confidenze che ti sia resa al più presto possibile risposta di suo proprio carattere se un tal memoriale è stato ricevuto da Lui, e a lui direttamente inviato, e se al medesimo è stato tramandato al suo indirizzo, e se di questo sarà negligente nella sua propria esecuzione ne proverà l'effetto del mio sdegno. Riserbati l'originale di ciò che avrai scritto su tal proposito; e se ciò non facessero i miei e i tuoi confidenti per mancanza di fede e per altri timori mondani; io con te e tu con me faremo quello che han temuto e non hanno voluto fare gli altri, di che non se ne producono mai dei buoni effetti il non credere e dubitare di chiunque parli a nome di me e del Padre mio.
Qui cessò di parlare al mio orecchio la viva voce del nostro buon Gesù; istantaneamente mi riscossi dal delirio in cui ero sepolto, e il sacerdote dava la benedizione, che era al termine della Messa.
Questo è tutto quello che la divina provvidenza si è voluta degnare di manifestare a me povero e indegnissimo peccatore a maggior gloria della sua divinità.
Dal mio ritiro di Monte Labaro 9 Dicembre 1870.
Sono suo indegnissimo suddito e servo ubbidientissimo, implorando la sua santa benedizione.
David Lazzaretti
di
Arcidosso Toscana.
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